Ho iniziato a fare il pane a tredici anni, quando la malattia di mio padre mi ha spinto a prendere in mano il forno di famiglia. A diciannove anni ho aperto un negozio in centro, un secondo, un terzo e infine un chiosco per prodotti tipici locali. Poi è stata la volta della Cina, nel 2005. In quegli anni la farina italiana era un prodotto ancora sconosciuto per il mercato cinese e insieme al mio fornitore, il molino Alimonti, decidemmo di lanciarci in questa avventura: nacque così la Petali, trading company che si occupa di importazione di prodotti alimentari e la prima a esportare la farina italiana a Pechino e Shanghai. Quello è stato solamente l’inizio. Un prodotto di qualità come la farina italiana, che tra dazi e costi di importazione arriva a costare fino a quattro volte di più dei prodotti cinesi, non avrebbe avuto speranze se non mi fossi occupato di curare anche tutto il processo di trasformazione, fino al prodotto finito: era impossibile vendere la farina svincolata dai corsi di formazione al personale. Così ho iniziato a girare la Cina, mi spostavo dalle cucine dei grandi hotel delle città a quelle delle locande di zone sperdute, piene di sporcizia e con macchinari vecchi, tenevo delle lezioni per una cinquantina di persone, senza parlare né il cinese, né l’inglese, servendomi del linguaggio dei gesti e talvolta di un interprete.
Dopo l’avvio di Petali e il lavoro di formazione, il passo successivo è stato quello della ristorazione, chiusura ideale del cerchio che va dall’ingrediente iniziale al prodotto lavorato e servito ai tavoli. Il primo ristorante, Tivoli (in omaggio alla mia città natale), aperto a Shangai, voleva portare in Cina il gusto del vero ristorante italiano, che anche nella preparazione del cibo usa esclusivamente prodotti italiani di qualità. E così è stato anche per il progetto successivo, Zagara, ristorante italiano nato dalla collaborazione con l’imprenditore romano Roy Cascino e allestito all’interno dell’Expo 2010 di Shangai: uno spazio di 800 metri quadri, uno dei tre ristoranti dedicati al made in Italy presenti alla manifestazione, pensato per servire 300 visitatori al giorno.
La collaborazione con la Hohenstaufen (la ditta alimentare di di Roy Cascino) porta anche alla realizzazione della fabbrica del pane, un laboratorio artigianale per pane e pasticceria tipica italiana, ispirato dalla famosa “Pizza Cresciuta”, il dolce pasquale del forno Petrini. Insieme a Roy siamo stati i primi a realizzare i panettoni natalizi in Cina e a spedirli alle aziende italiane dislocate in tutto il paese. Oggi quel laboratorio impiega una trentina di persone ed è in continua crescita.
Il mio sogno è riproporre il forno Petrini di Tivoli in Oriente. Forse ci riuscirò, ma fare business qui non è affatto semplice. Noi italiani vediamo la Cina come il paese dei balocchi, dove basta vendere un solo gelato a un miliardo e mezzo di persone per divenire milionari. In realtà le cose non stanno così, questo è un paese protezionista, che ostacola le aziende straniere: i cinesi hanno delle tradizioni, soprattutto alimentari, ben radicate e i nostri prodotti sono molto costosi per il loro tenore di vita. Ma abbiamo una fetta della popolazione, una nicchia di persone, con maggiori disponibilità economiche e aperti alle contaminazioni internazionali, su cui si può fare un buon lavoro puntando alla qualità.
Non so quando, ma prima o poi tornerò a Tivoli, magari dopo aver portato le mie aziende ad alti livelli, con l’ingresso di nuovi soci.